Purtroppo non si parla della canzone dei Clash, che ben di altro si occupava. Da quasi una settimana Londra sta prendendo fuoco in senso letterale, ma anche metaforico. La “primavera araba” sta diventando piano piano l’”estate londinese” e chissà poi in cosa si tramuterà. Certo è che il nostro continente, e il Mediterraneo più in generale, si stanno rivoltando, potrebbe sembrare quasi per le stesse ragioni. Noi non possiamo dire di essere sotto qualsivoglia dittatura, ma il disagio delle classi meno abbienti e, soprattutto, dei giovani è tangibile. Ciò che ci accomuna è la voglia di veder qualcosa cambiare, come per esempio le caste. Perché al potere e ai ristoranti di lusso ci possono andare sempre e solo gli stessi? Perché sempre gli stessi sono quelli che devono rinunciare alle vacanze o ad un’educazione decente? Questo medesimo scontento si è propagato dalla Tunisia, all’Egitto, dalla Libia, alla Siria, per passare ai paesi che meglio conosciamo come Grecia e Spagna, e ora il Regno Unito.
Da giovedì (4 agosto 2011, ndr) per le strade della capitale inglese si è vista prender piede una guerriglia ben organizzata e molto determinata. Si tratta ormai di guerra civile senza eguali partita da quella scintilla, se così la vogliamo chiamare, che è stata la morte di un giovane di colore ucciso dalla polizia, pare senza motivo. Di sera a dar fuoco a negozi o bidoni dell’immondizia, a rubare o entrare nelle case possiamo trovarci di fronte a persone molto diverse tra loro, persino a bambini di sette anni. Nonostante tutto sia partito dalla morte di un cittadino inglese di colore è sicuro che non ci sia sfondo razziale negli scontri con la polizia: le motivazioni devono essere cercate molto più a fondo. Ieri il Primo Ministro inglese ha cercato di rassicurare gli abitanti dicendo che quegli scontri erano causati solo da dei semplici e comuni criminali, ma in questo modo non si spiegherebbe il perché della diffusione a macchia d’olio di questo profondo malessere. Qualcuno afferma che le radici siano da cercare nel tasso di disoccupazione (che a Tottenham, da cui è partito tutto, è molto alto) e nei tagli alla spesa pubblica che, ancora una volta, vanno a toccare il ceto medio che lentamente sta sparendo lasciando spazio solo ad una popolazione sempre più povera. Altri, invece, sembrano paragonare la crisi dei nostri giorni a quella già avvenuta negli anni Venti del Novecento e quindi alle enormi disuguaglianze, sociali e reddituali, che ci sono tra i cittadini di uno stesso stato. Qualcuno dice che le generazioni d’oggi sono da considerarsi “perse” già in partenza: non c’è posto per loro e mai ce ne sarà se l’economia continuerà di questo passo. Già filosofi ed economisti come Rousseau e Smith spiegavano che solo con l’uguaglianza si può avere uno stato governabile e che i “miserabili” possono essere pericolosi.
Quello che vediamo scritto sui giornali e sentiamo alla televisione altro non è che una richiesta di cambiamento a cui i politici non fanno caso, non tanto perché non ci sentano, ma perché non vogliono sentire. Ciò che forse non ricordano è che la democrazia si è sempre costruita dopo qualche battaglia e che questi giovani non hanno più nulla da perdere.